Siamo stati in visita al datacenter Stack di Siziano, in provincia di Pavia, in un caldo venerdì di fine giugno.
Per la prima volta, abbiamo visto con i nostri occhi e toccato con mano, la famosa nuvoletta, che, in tutto il mondo è il simbolo identificativo del Cloud. Dobbiamo, quindi, sfatare il mito che “tutto quello che c’è nel cloud non sappiamo bene dove sia“.
Un insieme di server con dei dischi dove sono presenti i dati e i software di un privato o di un’azienda: ecco come possiamo riassumere il concetto rappresentato dalla nuvola.
Questo insieme di dispositivi hardware e servizi software è chiamato datacenter, letteralmente “centro di dati“.
Nonostante significhi nuvola – parola che ricorda qualcosa di volatile, astratto, fumoso – possiamo affermare che il Cloud è concretezza assoluta: al di là delle misure antintrusione avanzate e sistemi quasi di livello militare per la sicurezza degli edifici, all’interno, gli armadi che contengono i dispositivi, sono protetti da vere e proprie gabbie dove solamente gli addetti con specifiche autorizzazioni possono entrare. Passiamo poi alla sicurezza ambientale: gli sprinkler antincendio – opportunamente caricati con sostanze che non danneggiano l’hardware – sono settoriali e possono intervenire localmente, se dovessero percepire principi d’incendio.
Infine, se i dati sono particolarmente sensibili, come nel caso della posta certificata, esiste un settore dedicato con un livello di protezione ancora più avanzato.
Passati tutti questi livelli, eccoli lì: gli armadi rack. Posizionati in un ambiente a temperatura ottimale, ognuno contiene i singoli server, lo storage – comunemente chiamati dischi – gli switch, la rete e… i dati.
I gruppi di continuità sono (giusto un po’) più grandi del normale e molto diversi rispetto a quelli presenti in azienda.
Ci sono poi i generatori di corrente, veri e propri motori navali; e le linee Internet, sempre attive, anche se una dovesse cadere: ridondanza è la parola chiave. E questo concetto si applica anche alla replica dei dati: il principio del backup 3-2-1 garantisce affidabilità e massima replicabilità.
Questo è quello che abbiamo percepito tutti. Ma ognuno di noi ha avuto anche delle impressioni personali.
“Io salvo tutto in cloud” o “Caricalo in cloud così me lo condividi”. Sono frasi che spesso sentiamo, ma la cosa si ferma lì. Si parla di immagazzinare i nostri dati (che siano documenti, foto, video, ecc.) nel “cloud”, ma, effettivamente, quello che chiamiamo cloud non è altro che un edificio pieno zeppo di server gestito da qualcun altro (e probabilmente replicato in qualche altro stato). Chi gestisce tali strutture però non si ferma solo ai nostri dati, bensì pensa e lavora per mantenerli e renderli fruibili in qualsiasi momento, rispettando sempre la protezione. Questi sembrano punti scontati probabilmente, ma quando finalmente si ha l’occasione di vedere dal vivo un datacenter – e per fortuna l’ho avuta – ho scoperto quanto lavoro per la sicurezza ci sia dietro, non solo a livello informatico per proteggerci dai famosi hacker, ma anche dal punto di vista strutturale dell’edificio e della gestione fisica di tutti gli apparati.
Matteo M.
Il ciottolato anti-corsa, il doppio tetto, il sistema di raffreddamento, i led rossi e blu che indicano i rispettivi corridoi caldi e freddi sono alcune delle cose che più mi sono rimaste impresse. A differenza di quanto pensassi mi hanno colpito molto di più i dettagli, le piccole cose e l’immensità di sicurezza che si nasconde dietro rispetto alla grandezza della struttura. Non avendo mai visto un data center il mio unico punto di riferimento e il mio metro di paragone si basavano su quelli già visti in TV e nei film, che giustamente ben discostano dalla realtà. “Quality over Quantity” riassume perfettamente l’esperienza.
Davide P.
Sono sempre stata molto incuriosita dai datacenter: ho passato ore a guardare fotografie dei più famosi, Google e Microsoft. Pensavo di sapere cosa aspettarmi ma, essere circondata da una mole di sicurezza elevata – sicuramente non immaginavo tutte le restrizioni che ho incontrato! – , un freddo non indifferente e il suono incessante dei condizionatori, mi hanno fatto capire che forse la nuvola non è esattamente il simbolo che può rispecchiare un ambiente di questo tipo. Immaginerei più un lucchetto o una chiave. Io ci ho visto tanto futuro, in quelle stanze: non ci si deve più preoccupare dei backup, delle repliche, della manutenzione dei gruppi di continuità, della corrente, della sicurezza fisica e informatica.
Lucrezia F.
Se dovessi descriverlo in qualche parola queste sarebbero sicuramente sicurezza, affidabilità e controllo.
Mi sono rimasti impressi la grandiosità, la progettazione ingegneristica, l’organizzazione, l’ordine. Nello specifico di CoreTech, le schede di rete a 40gigabit e in generale tutti quei server e storage.
Luca L.
Non mi aspettavo una gestione della sicurezza così alta, non avevo mai pensato a quanto può essere sensibile un datacenter.
Sarebbe interessante capire come possa essere gestita una tale mole di consumi con un’energia sostenibile: un tetto con una superficie così vasta potrebbe essere ricoperto di pannelli solari che, sì, inciderebbe poco sull’enorme consumo dell’impianto ma farebbe, comunque, un po’ la differenza.
Il connubio perfetto è solidità-innovazione, perché ho visto dei rack server, molto simili ad altri rack visti anche 20 anni fa, quindi con quello che da tempo significa avere un’infrastruttura server, ma all’interno di un contesto che trasforma un servizio server erogato in un servizio server erogato in CONTINUITÀ! La grande differenza è tutto il lavoro che viene fatto per garantire che quel singolo servizio NON SI FERMI MAI.
Davide M.
Penso che ogni azienda che conosco potrà confermarmi che uno dei requisiti fondamentali per la loro attività sia la continuità di lavoro e più il tempo passa più veniamo a conoscenza di fattori che impediscono questo (attacchi hacker, problemi fisici ai sistemi, vulnerabilità e altri blocchi software); la “rincorsa” quotidiana dei nostri provider è cercare di evitare che questo accada.
Il sentimento più intenso che mi ha attraversato è: sentirmi al sicuro
Le mie conoscenze tecniche in queste materie sono molto basse, ma dal mio punto di vista ho notato la cura delle stanze, l’ordine e l’organizzazione. Rispetto a quello che pensavo sui server, ho visto molto più “ferro” e molte luci che indicavano un “lavoro continuo” e una moltitudine di informazioni tutte raccolte nello stesso luogo.
Silvia M.
Questa esperienza ci è servita per avere piena consapevolezza del prodotto che, da poco, abbiamo aggiunto al nostro portfolio!